Piangere di gioia e la definizione del senso della vita

Prima di iniziare a leggere l’articolo, dai un’occhiata alla ricerca scientifica che ho appena pubblicato su Frontiers of Psycholgoy “Tears of joy as an emotional expression of the meaning of life

 

L’espressione emotiva dimorfa del pianto di gioia 

Che cos’è il pianto di gioia (PDG)? I principali studi, presenti in letteratura, lo hanno considerato un’espressione emotiva dimorfa (cfr. Aragón et al. 2015, Aragón, 2017, Aragón & Clark 2017); non un’emozione a sé stante, ma una modo “diverso” di esprimere gioia: la forte emozione (di gioia) provata in un determinato momento, viene manifestata attraverso una modalità espressiva (il pianto) che però rimanda a uno stato emotivo differente o addirittura opposto (ovvero la tristezza e il dolore). Da ciò deriva l’aggettivo “di-morfo”: due forme presenti nello stesso momento. 

La principale ipotesi avanzata in letteratura è che le espressioni dimorfe svolgano una funzione regolativa degli stati emotivi: nel momento in cui gli individui si sentono sopraffatti da sentimenti positivi – talmente intensi da essere percepiti come ingestibili – rispondono attraverso un’espressione emotiva contraria, al fine di compensarne l’eccesso. All’autoregolazione interna si aggiunge anche l’ipotesi di una regolazione interpersonale (Aragón & Clark 2017): di fronte alla gioia espressa in modo dimorfo, gli altri significativi (partner, amici, genitori) tendono a fornire risposte di down-regulation; ovvero cercano di attenuare l’intensità dell’emozione (offrendo, ad esempio, abbracci e rassicurazioni), tentando così di portarla a un livello più gestibile.

Piangere di gioia come segnale del senso della vita

Ma, in che modo il PDG ha a che fare con il senso della vita (SDV)? Dall’esperienza clinica, indagando i motivi per cui i miei pazienti avevano fatto esperienza del PDG, era emerso che dette situazioni possedevano un livello di significatività maggiore rispetto a altre esperienze importanti di vita. 

Incuriosito dal tema, durante i viaggi che ho fatto nel 2019-2020 – in tempi pre-covid – in India e in Giappone, ho condotto alcune interviste. L’ipotesi di ricerca era che il PDG non fosse solo un’espressione atipica dovuta a una “super gioia”, o solo un tentativo autoregolativo dell’organismo, ma potesse anche essere considerato un vissuto emotivo a sé, non del tutto sovrapponibile con la gioia, e provvisto di una funzione adattiva specifica: segnalare, a chi lo sperimenta, quale è il senso della sua vita, ovvero la direzione più importante da dare alla propria esistenza. D’altronde, la letteratura mostra come, aver chiaro quale sia il significato della propria vita, ha un collegamento con la propensione delle persone a sperimentare un maggior benessere e stati d’animo positivi (cfr. King et al. 2006, Datu 2015). 

Il materiale raccolto ha fornito un sostegno positivo all’ipotesi di ricerca (Paoli et al. 2022): gli individui che ho intervistato hanno riferito che, sì, dal loro punto di vista la vita ha senso, e che, sì, secondo loro c’è un collegamento stretto fra PDG e SDV, e che, coerentemente con quanto emerso in letteratura, il SDV corrisponda, da una parte con l’avere buone relazioni con gli altri (Lambert et al. 2013), aiutarli e avere un buon impatto su di loro, e dall’altra parte nel fare del proprio meglio, realizzando obiettivi importanti (Machell et al. 2014, McDonald et al. 2012, Emmons 2003). Nell’analisi quali-quantitativa è emersa inoltre una rilevante compresenza fra chi aveva dichiarato di aver pianto di gioia e chi aveva riferito che la vita ha senso. 

Alla ricerca di senso 

Tutto ciò, però, in che modo si riflette in un percorso di Terapia Breve? Il tema del senso della vita, come già rilevato da V. Frankl (2018), non è necessario venga affrontato con tutti i pazienti. Solo alcuni sono sensibili al tema, e soltanto un certo gruppo di loro ne trae un reale beneficio al fine di edificare o rafforzare l’equilibrio psicologico. 

Secondo i dati che sto raccogliendo sui miei pazienti, la definizione del senso della vita è un’esperienza terapeutica essenziale in tre situazioni: nei casi di dubbio ossessivo, in presenza di disturbo borderline e di disturbo narcisistico. Tutti e tre questi disturbi sono infatti accumunati da due “Strategie Inefficaci” (Paoli 2019): l’intermittenza decisionale, ovvero cambiano continuamente rotta sospinti dal “vento” del dubbio o delle emozioni, e la ridotta lungimiranza decisionale, ovvero valutano i vantaggi di una decisione solo a breve o a brevissimo termine.

In tal senso, la definizione del SDV è un’“Esperienza di Equilibrio” (Paoli 2019) che permette di raggiungere una maggiore stabilizzazione emotiva e decisionale, facilitando anche l’apertura verso relazioni più significative e un sano distacco nella valutazione di sé. Laddove l’intermittenza decisionale e il perseguire obiettivi poco significativi – o troppo autoreferenziali – generano un’insoddisfazione cronica, l’orientamento verso una vita ricca di significato rappresenta un mezzo efficace di crescita personale. “Additare un compito a un essere umano è quanto di più adatto ci possa essere per fargli vincere ogni difficoltà interiore e ogni disgusto. Meglio se questo compito è stato scelto dalla persona stessa, tanto meglio se si tratta di una missione, capace di rendere colui che la attua insostituibile e di donare alla sua vita il valore della singolarità” (Frankl 2018, p. 92; corsivo aggiunto dall’autore).

Autodeterminare il senso della propria vita

Durante il processo di autodeterminazione del SDV, tendo a sottolineare, con i pazienti, la presenza di tre possibili vie da percorrere: una realista, una intuitiva e una costruttivista. 

1. La via realista. Una prima possibilità è quella, potremo definirla così, di tipo “realista”, che parte dal presupposto evoluzionistico che le emozioni sono uno dei principali strumenti adattivi di cui siamo provvisti, e che, in tal senso, sono una guida efficace per il nostro stare al mondo. Così, riflettendo sui motivi per cui piangiamo di gioia (qui il PDG è inteso come l’emozione che segnala il SDV), oppure identificando quali sono le battaglie per cui si è combattuto fin da piccoli (si potrebbe dire: laddove è la tua rabbia si trova il tuo tesoro), è possibile riconoscere una più ampia prospettiva etica verso cui siamo “naturalmente” orientati. 

2. La via intuitiva. Secondo questa via (cfr. Jaspers 1964), invece, abbiamo la capacità di riconoscere “intuitivamente” il senso della nostra vita, laddove per “intuito” non va intesa la conoscenza rapida dell’esperto – addestrata attraverso numerose prove ed errori – né le risposte affrettate (e sbagliate) fornite dai non addetti ai lavori (cfr. Kahneman 2020). L’intuito è, in questa prospettiva, una sensibilità tipica di noi esseri umani, caratterizzata dalla capacità di prendere in mano la nostra intera esistenza e decidere di spenderla per qualcosa di “più alto”. Come suggeriva George Bernard Shaw: “Questa è la vera gioia della vita: utilizzare la propria esistenza per uno scopo alto. Essere una forza della natura, invece di un frenetico, egoistico, piccolo ammasso di amarezze e lamentazioni per il fatto che il mondo non si pone come suo scopo la tua felicità”. 

E’ possibile accedere a detta conoscenza intuitiva attraverso domande “esistenziali”, che permettano al paziente di valutare che cosa lo “accende”. Ciò può essere ottenuto, ad esempio, attraverso una tecnica immaginativa, di ispirazione gesuitica, che consiste nel chiedere al paziente di proiettarsi con l’immaginazione al punto della propria morte e, da lì, identificare per che cosa si sentirebbe fiero di aver speso la propria esistenza (Ignazio di Loyola 2013).

3. La via costruttivista. Infine, il senso della vita può essere del tutto inventato (cfr. Von Glasersfeld 2006), basandosi sull’assunto che la vita, di per sé, non abbia senso (siamo noi a mettercelo), ma che, se non le diamo un senso, diventa invivibile. 

Le quattro caratteristiche fondamentali del senso della vita 

Fatte queste premesse, invito il paziente a definire che cosa egli intenda per “felicità” (cfr. le riflessioni di Aristotele 2008), e lo spingo a distinguere fra l’emozione di gioia e l’atto del decidere che cosa sia il senso della propria vita… al di là del piacere o del dispiacere, della gioia o del dolore, della salute o della malattia. Se il paziente fa fatica a trovare una definizione soddisfacente, gli suggerisco quattro caratteristiche essenziali che il SDV deve possedere.

1. Ampio. Il SDV deve essere ampio, il più ampio possibile, talmente ampio da poter contenere in sé ogni tipo di situazione ed emozione. Ovvero, deve poter essere realizzabile sia stando bene che stando male, sia facendo il lavoro dei propri sogni che vivendo sotto un ponte, sia vincendo le olimpiadi che dentro un carcere. E’ necessario insistere su questa caratteristica, perché i pazienti tendono a sovrapporre il SDV con gli obiettivi importanti di vita: il SDV è, invece, l’obiettivo di tutti i possibili obiettivi. E’ un obiettivo di livello logico superiore: un meta-obiettivo. L’ampiezza può essere percepita, da parte di chi ascolta, come vaghezza, ma non lo è per chi sta definendo il SDV. Il paziente utilizza, di solito, termini quali: amore, giustizia, bellezza, miglioramento, armonia, etc.

2. Relazionale. Il SDV deve avere a che fare non solo con se stessi, ma anche con gli altri; altrimenti finisce per diventare un ripiegamento narcisistico. Come format, suggerisco ai pazienti di prendere ispirazione da un aforisma di Lev Tolstoj: “Ho risolto per me stesso il problema del senso della vita, dicendomi che consiste nell’accrescere l’amore in me stesso e negli altri”.

3. Sufficientemente buono. Per evitare che la definizione del SDV faccia sprofondare il paziente in un’indagine senza fine (questo è il rischio in cui tende a cadere la persona che soffre di dubbio ossessivo), suggerisco che non è necessario che sia un SDV strabiliante, che ogni volta a cui il paziente pensa si emoziona fino alle lacrime. Basta che sia sufficientemente buono; utilizzabile per qualche mese (potrà poi essere modificato senza problemi), tanto da far sperimentare al paziente la stabilità emotiva e decisionale che ne consegue.

4. Generativo. Infine, il SDV, quando ben definito, è in grado di suscitare idee e di mettere in connessione aspetti diversi della vita del paziente. Anche nei momenti più difficili, il solo fatto di dirsi: “Il senso della mia vita è elevare in me stesso e negli altri X”, genera idee e innesca il desiderio creativo di mettere in atto qualcosa di significativo per sé e/o per gli altri. La generatività richiama quanto scriveva il pragmatista J. Dewey nel suo “Esperienza e educazione”: “E’ diseducativa ogni esperienza che ha l’aspetto di arrestare o fuorviare lo svolgimento di un’esperienza ulteriore. […] Il problema centrale […] è quello di scegliere il tipo di esperienze che invece vivranno fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno.” (2014, pp. 12-14; corsivo dell’autore).  

Bibliografia

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Aragón, O. R., and Bargh, J. A. (2018). “So happy i could shout!” and “So happy I could cry!” Dimorphous expressions represent and communicate motivational aspects of positive emotions. Cogn. Emot. 32, 286–302. doi: 10.1080/02699931.2017.1301388

Aragón, O. R., and Clark, M. S. (2017). Tears of joy” & “smiles of joy” prompt distinct patterns of interpersonal emotion regulation. Cogn. Emot. 32, 1–27. doi: 10.1080/02699931.2017.1360253

Aragón, O. R., Clark, M. S., Dyer, R. L., and Bargh, J. A. (2015). Dimorphous expressions of positive emotion: displays of both care and aggression in response to cute stimuli. Psychol. Sci. 26, 259–273. doi: 10.1177/0956797614561044

Aristotele (2008). Le tre etiche. Milano: Bompiani 

Cowen, A.S., and Keltner, D. (2017). Self-report captures 27 distinct categories of emotion bridged by continuous gradients. Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 114, E7900–E7909. doi: 10.1073/pnas.1702247114

Dewey, J. (2014). Esperienza ed educazione. Milano: Raffaello Cortina

Datu, J. A. D. (2015). The synergistic interplay between positive emotions and maximization enhances meaning in life: a study in a collectivist context. Curr. Psychol. 35, 459–466. doi: 10.1007/s12144-015-9314-1

Emmons, R. A. (2003). “Personal goals, life meaning, and virtue: wellsprings of a positive life,” in Flourishing: Positive Psychology and the Life Well-Lived, eds C. L. M. Keyes and J. Haidt (Washington, DC: American Psychological Association), 105–128. doi: 10.1037/10594-005

Frankl, V. E. (2018). Logoterapia e analisi esistenziale. Brescia: Morcelliana 

Gielen, U.P., Fish, J.M., Draguns, J.G. (eds) (2008). Handbook of Culture, Therapy and Healing. London and Mahwah, New Jersey: Lawrence Erlbaum Associates

Ignazio di Loyola (2013). Esercizi spirituali. Roma: Città Nuova 

Jaspers, K. (1964). Psicopatologia generale. Roma: Il Pensiero Scientifico

Kahneman, D. (2020). Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori

King, L. A., Hicks, J. A., Krull, J. L., and Del Gaiso, A. K. (2006). Positive affect and the experience of meaning in life. J. Pers. Soc. Psychol. 90, 179–196. doi: 10.1037/0022-3514.90.1.179

Lambert, N. M., Stillman, T. F., Hicks, J. A., Kamble, S., Baumeister, R. F., and Fincham, F. D. (2013). To belong is to matter: sense of belonging enhances meaning in life. Pers. Soc. Psychol. Bull. 39, 1418–1427. doi: 10.1177/0146167213499186

Machell, K. A., Kashdan, T. B., Short, J. L., and Nezlek, J. B. (2015). Relationships between meaning in life, social and achievement events, and positive and negative affect in daily life. J. Pers. 83, 287–298. doi: 10.1111/jopy.12103

McDonald, M. J., Wong, P. T., and Gingras, D. T. (2012). “Meaning-in- life measures and development of a brief version of the personal meaning profile,” in The Human Quest for Meaning: Theories, Research, and Applications, 2nd Edn, ed. P. T. P. Wong (New York, NY: Routledge), 357–382

Paoli, B. (2019). La sottile arte di incasinarsi la vita. Milano: Mondadori 

Paoli, B. (2022). “Senso della vita”, in Manuale delle tecniche psicologiche, eds B. Paoli and E. Parpaglione (Firenze: Giunti)

Paoli, B., Giubilei, R., De Gregorio, E. (2022). Tears of Joy as an Emotional Expression of the Meaning of Life. Front. Psychol. 13:792580. doi: 10.3389/fpsyg.2022.792580 

Von Glasersfeld, E. (2006), “Introduzione al costruttivismo radicale,” in La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, ed P. Watzalawick (Milano: Feltrinelli)

L’autore

Ho ideato la Terapia Breve delle Esperienze di Equilibrio e sono docente – per Edulia di Treccani e per la Scuola Holden – di psicologia della decisione e della creatività, e di tecniche di cambiamento rapido; insegno Terapia Breve in Scuole di Specializzazione in Psicoterapia. Sono autore di alcuni libri di saggistica e di divulgazione psicologica, fra cui La sottile arte di incasinarsi la vita (Mondadori) e il Manuale delle tecniche psicologiche (Giunti).

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