
Bias narcisistico
Un incontro inatteso
Lavorando come psicologo, mi sono imbattuto nell’essere umano nascosto dietro ciò che appare, ovvero nelle reali motivazioni che mettono in moto le persone. Queste motivazioni non sono direttamente accessibili durante gli scambi quotidiani, anche nel caso in cui si fosse soliti avere a che fare con un numero elevato di persone. Invece, negli incontri a tu per tu con uno psicologo, emerge per intero il cuore umano.
L’incontro più sorprendente che ho fatto nell’esercizio del mio mestiere è stato con il narcisismo, un disturbo che per anni ho ignorato a causa dei percorsi formativi fatti che non ne contemplavano lo studio durante la formazione alla pratica della psicoterapia. E invece il narcisismo è molto più diffuso di quanto si possa stimare, ed è fra i più dannosi e contorti disturbi che la nostra mente riesca a partorire.
Un cancro relazionale
Ciò che lo rende particolarmente dannoso è che la società occidentale lo incoraggia, considerandolo spesso una pratica buona e sana. Tant’è che io stesso avevo imparato a reputare chi si presentava nel mio studio con questo disturbo, semplicemente come persone ambiziose e alla ricerca del successo. Ma purtroppo, non è così. L’ambizione è una cosa; il narcisismo – che comunque sempre si riveste dei colori dell’ambizione – è però tutt’altro. Il disturbo narcisistico crea danni enormi non solo alle persone ma anche alle aziende (in questo articolo vorrei concentrare l’attenzione proprio su quest’ultimo ambito). Si tratta di un cancro relazionale, e lo si constata attraverso chi, in azienda (così come nelle relazioni intime), resta in stretto contatto con una persona con un disturbo narcisistico: ne esce devastato. E siccome le aziende si reggono sulle relazioni… Ma andiamo per gradi.
Inclinazione psicologica e disturbo di personalità
Procediamo intanto distinguendo fra inclinazione psicologica sana e disturbo di personalità. Esiste un nesso stretto fra le due dimensioni, così come esiste fra un terreno inclinato e un precipizio. Ma vi è anche una grande differenza, non tanto nella tipologia di strategie utilizzate, quanto nella loro mole e nell’incapacità di farne a meno. Sia in presenza di un’inclinazione psicologica sana (che chiamo dei “narciso”), sia in presenza di un disturbo narcisistico di personalità, vengono messe in atto una certa serie di strategie; ma nel narcisismo queste strategie (che a questo punto possiamo definire “narcisistiche”) diventano particolarmente vistose, squillanti… e inevitabili. Con un termine clinico, siamo di fronte a una compulsione. Il narcisismo è un disturbo compulsivo.
Il nucleo narcisistico
Ciò accade per un motivo inatteso: le strategie compulsive narcisistiche iper-compensano un “nucleo” sottostante di dolore. Parliamo quindi direttamente del disturbo – del precipizio – perché, essendo macroscopico, è più facilmente visibile e anche comprensibile. Inoltre, da adesso in poi, anziché scrivere “persona che soffre di disturbo narcisistico di personalità”, utilizzerò l’espressione più sintetica, anche se meno corretta, di “narcisista”. Si tratta di una scorrettezza perché una persona non è il proprio disturbo, e una persona può superare un disturbo, e in tal senso non è giusto identificarla con un’etichetta diagnostica. Lo faccio però per una necessaria semplificazione linguistica, in modo tale da rendere il testo più facilmente fruibile.
Fatte le dovute premesse, andiamo al centro del discorso: il narcisista si sente uno “sfigato”. Teme di essere uno sfigato. Ha una paura fottuta della solitudine. Senza nessuno accanto, percepisce di non avere alcun valore. Il fatto è che tutto questo all’esterno non lo si vede. O meglio, un occhio non allenato non riesce a vederlo, perché il narcisista è il re del depistaggio. Come ci riesce? Per non sentire quelle sensazioni di dolore/sfiga/solitudine, il narcisista ha imparato l’arte del non percepire, del non sentire dolore, dell’indurirsi, scoprendo che, in tal modo, tutto diventa più facile. Mascherando e controllando il dolore (non si tratta di un processo pienamente consapevole, anche se alcuni narcisisti si ricordano momenti della propria infanzia in cui si sono detti “Sono un duro. Da adesso in poi non piangerò mai più”, o “Nessuno dovrà conoscere quella mia certa debolezza”, oppure “Sono nato in una famiglia di sfigati. Io non sarò mai come loro”), mascherando e controllando il dolore – dicevamo – le difficoltà diventano più semplici da gestire. Si tratta di un autoinganno patologico ed efficace al tempo stesso: “Se non sento, non soffro”.
Anestetizzare il dolore con il piacere
Adesso, per stare bene, non è sufficiente anestetizzarsi dal dolore “non sentendolo”, occorre anche anestetizzarsi attraverso il piacere. E non c’è godimento maggiore che quello di essere ricchi, potenti e, soprattutto, ammirati. L’ebbrezza del successo è il principale distrattore, di cui un narcisista necessita come l’aria, per poter mantenere in piedi il suo funambolismo patologico. “Più potere ho, meno mi sento sfigato”, “Più vengo ammirato, meno mi sento solo”, “Più persone seduco, meno sento dolore”. Nel narcisismo l’amore viene scambiato col potere, e un narcisista continua a cercare questa ebbrezza per tutta la vita, in un delirio di eternità… e quando non la trova attraverso le persone (sarebbe meglio dire “amanti, ammiratori e adepti”), ricorre ad alcool e droghe. Si tratta di una vera e propria compulsione: non può farne a meno. Appena smette di ottenere ammirazione, sprofonda nella disperazione.
Un disturbo nascosto dietro l’efficacia: l’offerta del narcisista e l’etero-significatività
Capite in che senso è il più nocivo dei disturbi? Perché si nasconde dietro il volto dell’efficacia. Un narcisista riesce a ottenere ciò a cui tutti ambiscono, e si trasforma così nel modello da emulare, nell’esempio da seguire, nell’eroe da imitare, nella statua da ergere in mezzo alla piazza. “E come mai le persone si fanno così facilmente ingannare? Sono tutte stupide?”. Direi di no. Si tratta di un gioco perfettamente riuscito, di un “delitto perfetto”: equilibri di potere ben architettati, una straordinaria capacità di manipolazione emotiva, tutto al fine di farsi ammirare dagli altri. E ci riesce con grande successo.
L’essere umano ha uno straordinario bisogno di significatività, di vivere esperienze significative, di sentirsi parte attiva all’interno di qualcosa di più significativo… e il narcisista è un abile tessitore di esperienze memorabili. Da una parte c’è un bisogno (la “domanda” di significatività), dall’altra parte una persona estremamente abile a mettere se stesso a “servizio” di quel bisogno (l’“offerta” del narcisista).
Abbiamo tutti bisogno di significatività, di esperienze memorabili, e i narcisisti si mettono nella posizione di offrire quelle esperienze. Si deve passare allora dall’etero-significatività all’auto-significatività. Utilizzo l’espressione “etero-significatività” per indicare il delegare ad altri e ad altro ciò che è più significativo: se ciò che è significativo arriva soltanto da fuori, finisci sempre per essere dipendente da eventi esterni. Così la tua vita rischia di diventare un “nulla senza di loro”. I narcisisti si mettono in posizione di leadership proprio per rispondere (potrei scrivere “approfittare”) alla domanda di significatività. E’ un male? No. Viviti quegli eventi significativi, e lasciati migliorare da loro… ma, poi, passa all’auto-significatività, cioè allo stabilire – per te e da te – che cos’è significativo. Autodetermina qual è il senso della tua vita, indipendentemente da ciò che accade all’esterno.
Se ti fa innamorare è narcisista
Durante una live su Instagram, ho risposto alla seguente domanda di una partecipante: “Come si fa a capire se si è dinanzi a una persona con un disturbo narcisistico?”. Sintetizzando, ho risposto così: “Se ti fa innamorare, è narcisista”. Il narcisista ha un’incredibile capacità di suscitare sentimenti di coinvolgimento e di ammirazione. In questo è proprio il numero uno… salvo poi renderti conto che non lo sta facendo per il bene della persona che ha davanti, per il bene dell’azienda, o per il bene della comunità. Lo sta facendo solo per sé, per nutrire quel buco nero che si porta dentro. “E che cosa c’è mai di male in tutto questo?”, potrebbe chiedere qualcuno. Il male sono i danni che produce attorno a sé. Se hai una cartaccia dentro l’auto e la butti fuori dall’auto, hai risolto il problema? Se hai fatto qualcosa per il tuo bene in modo efficace, questo è automaticamente efficace anche in senso più ampio? Se hai fatto fuori una persona che potenzialmente può essere migliore di te in azienda, hai fatto il bene dell’azienda? Se scrivi a una ragazza che non ti piace affatto, e lo fai solo per non sentirti solo e perché sai che lei invece è pazza di te, stai mettendo in atto un comportamento corretto? Per una narcisista le persone sono meri strumenti per poter esercitare il suo potere. Gli altri sono una sua proprietà: li utilizza fino a quando può spremerli. Quando non gli sono più utili, se ne libera. Come scrive Les Carter in Difendersi dai narcisisti: “Ricordati che sei un attore finito per caso sul suo palcoscenico”.
Solo se ha un forte sistema morale sarà un buon capo
Qualcuno potrebbe ancora insistere: “E che male c’è in questo? Si tratta di doti machiavelliche, strategiche, politiche”. Diciamola così: il narcisista non ha un sistema morale, perché l’unica morale che persegue è il proprio vantaggio personale. Nient’altro. Reggendosi su un disturbo psicologico, le strategie di controllo, di potere, di seduzione (che il narcisista utilizza mirabilmente) non sono mai direzionate verso un “fine più grande”, ma solo per mantenere in modo compulsivo se stesso in posizione dominante… anche a costo di mentire o di danneggiare tutto: partner, collaboratori di una vita, gruppo per cui lavora, azienda. Questo è il punto: se non c’è un sistema morale alle spalle, la persona diventa abilissima nell’utilizzare i giochi di potere… “e se questi danneggiano gli altri, chi-se-ne-frega”.
Il narcisista è incapace di mollare la posizione di leadership, e farà di tutto per distruggere o allontanare coloro che possono essere in grado di fare meglio di lui. Ecco perché il narcisista – continuo a utilizzare le parole di Les Carter – denigra l’altro proprio in quelle peculiarità che lo rendono unico.
Ammirare l’impresa non la persona
Ho scoperto – con gli occhi dello psicoterapeuta – che le persone che più ammiravano in passato avevano tutti problemi di narcisismo. E così, da molti anni non ammiro più nessuno. Ho stima per molte persone, e ammiro i progetti che alcuni realizzano… ammiro l’impresa raggiunta, non colui che l’ha compiuta. Un’opera geniale resta tale anche se chi l’ha realizzata è una pessima persona. Se Albert Einstein fosse stato un criminale, questo non avrebbe ridotto la portata delle sue scoperte. E, allo stesso modo, la genialità delle sue scoperte non lo trasformano in una brava persona. L’ammirazione non merita mai rivolgerla verso le persone, perché coloro che sono bravissime a farti luccicare gli occhi, nascondono spesso le proprie incapacità dietro ai propri successi. Celano il veleno dietro lo zucchero. Questo è il gioco del narcisista: far scambiare l’impresa per colui che l’ha condotta, in modo tale che le persone diano ammirazione non all’opera ma a lui. Lo si potrebbe chiamare “bias narcisistico”, quello per cui si sbaglia a ritenere che chi fa cose buone allora è una persona buona, chi fa cose ammirevoli allora è una persona degna di ammirazione.
Bias narcisistico: buoni frutti non indicano buoni alberi
Un albero cattivo, invece, può produrre frutti buoni. I frutti buoni – ecco il bias narcisistico – vengono invece intesi come la dimostrazione del fatto che anche l’albero è buono. Niente di più sbagliato. In termini psicologici, se la pensiamo così, siamo vittima dell’effetto alone. Attenzione quindi alle persone verso cui provi ammirazione: l’effetto positivo che una persona ha su di te, non dimostra la bontà di quella persona. Questo è il bias sfruttato dal narcisismo al potere.
Adesso, come mai viene così poche volte smontato il bias narcisistico? Perché funziona talmente bene, che ci acceca. “Com’è possibile che una persona così seguita e che fa così tanto del bene, possa essere mossa da cattive intenzioni?”. “Ma non vedi quante persone intelligenti la seguono? Pensi davvero che siano tutti degli idioti?!”. Insomma, dire le cose come stanno su un narcisista può essere impopolare. “Meglio allora essere popolari e mentire, che dire la verità e rischiare di essere impopolari”… e, in tal modo, il bias narcisistico si propaga.
Danni aziendali
Torniamo al mondo delle aziende. Un capo narcisista non seleziona le persone più valide, ma quelle che interagiscono con lui in modo da non mettere in discussione la sua leadership. Il narcisista non vede negli altri un bene per l’azienda, o una risorsa da far crescere. Se dice: “Gli altri sono il massimo bene per l’azienda”, lo fa solo perché desidera che gli altri credano che lui ci crede. Sarebbe impopolare se dicesse ciò che davvero pensa, ovvero che gli altri sono dei “subumani” (cito il termine utilizzato da un paziente); persone insulse, deboli, sciatte, stupide, da ammonire e comandare con durezza… “e, alla fine, se li tratti con un po’ di crudeltà ti sono pure grati”. Basta fare solo un po’ più di attenzione quando parla: ciò che pensa dell’essere umano prima o poi emerge, durante una passeggiata non programmata, o in una confidenza fatta al bar. In occasioni informali, tutto il suo disprezzo viene fuori.
I segnali del narcisismo
Ci sono quindi alcuni segnali attraverso cui è possibile capire se una persona è a rischio di soffrire di un disturbo narcisistico. Ecco alcuni indizi. Una del tutto immotivata invidia (immotivata, dato il proprio successo personale, o la posizione di prestigio ricoperta) verso il successo dei propri collaboratori, figli, o allievi (il narcisista ama fare il maestro di qualche disciplina). La compulsione a mantenersi sempre in una posizione one-up – di dominanza totale sugli altri – tanto da spingerlo a non chiedere mai scusa, o a non partecipare a un gioco in cui potrebbe perdere (“Se non vinco, non gioco”). Parla di sé in terza persona. Si autocelebra. Parla di cose su cui non ha una reale competenza. In sua presenza percepisci disagio – un mix di fastidio e ammirazione – e ti senti spinto a dovergli fare i complimenti, perché pare l’unico modo di poter creare un legame con lui. “Bè, ma questo è un po’ lo standard del capo”. E, infatti, il narcisismo è una piaga sociale: talmente diffusa che viene scambiata per salute mentale.
Fino a quando in azienda le persone vengono tenute a grande distanza dal narcisista, la dinamica può reggere; ma appena entrano in un più stretto contatto con lui, sperimentano tutti gli effetti della psicopatologia. Il narcisista va a braccetto con abusi di potere, allungamenti di mano, menzogne, allontanamento di persone valide che potrebbero metterlo in ombra, turn-over e burn-out di chi gli sta accanto. Il gioco relazionale con il narcisista può funzionare fino a quando resta presente in azienda una certa percentuale di persone eccellenti – illuse dalle sue false promesse – e altre succubi delle sue manipolazioni. Ma il gioco è costretto a terminare quando la percentuale si inverte: i migliori iniziano a capire di che pasta è fatto, e si allontanano, e aumentano invece le persone che – per tratti personali o per necessità – sviluppano un atteggiamento remissivo e dipendente. Ma quanto può durare un sistema del genere? E un’azienda impostata così, come può mantenersi competitiva a lungo termine?
Leadership anti-narcisistica
Un capo anti-narcisista cerca il benessere dell’azienda prima che il proprio. Coltiva relazioni in modo tale che le persone attorno a lui diventino migliori di lui. E’ in grado di lasciare la leadership, quando percepisce che c’è qualcuno maggiormente in grado di portare avanti il testimone. Vede davvero negli altri una risorsa preziosa per l’azienda, e lavora affinché ognuno di loro sviluppi la propria autonomia e la propria leadership, secondo le proprie caratteristiche, talenti e unicità. Si rende conto di essere una persona misera, come tutti gli altri, e di essere una persona speciale, come tutti gli altri. Sa che rivestire il ruolo di capo significa anzitutto essere a servizio di una comunità. Riesce anche a compiere gesti totalmente gratuiti, senza alcun tipo di ritorno economico o di gloria personale.
Non si tratta di doti eccezionali, ma dello standard che dobbiamo aspettarci e pretendere da chi vuole occupare la posizione di capo.
Se ti interessa il tema leggi anche Terapia Breve del disturbo narcisistico
L’autore

Ho ideato la Terapia Breve delle Esperienze di Equilibrio e sono docente – per Edulia di Treccani e per la Scuola Holden – di psicologia della decisione e della creatività, e di tecniche di cambiamento rapido; insegno Terapia Breve in Scuole di Specializzazione in Psicoterapia. Sono autore di alcuni libri di saggistica e di divulgazione psicologica, fra cui La sottile arte di incasinarsi la vita (Mondadori) e il Manuale delle tecniche psicologiche (Giunti).
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